Geologia

   Nelle Alpi Lepontine, che dalla Val d’Ossola arrivano fin al passo del S. Bernardino, si trova il massiccio montuoso del S. Gottardo (m 3197 s.l.m.), centro di diramazione di catene che domina quattro vallate e dal quale hanno origine fiumi come il Reno, il Rodano e il Ticino, le cui acque attraversano il Lago Maggiore e affluiscono, con il Po, nell’Adriatico.
   Le zone che si trovano tra Alpi e Pianura Padana, comprese tra i laghi lombardi, prendono il nome di Prealpi Lombarde, per via del loro profilo meno aspro di quello alpino, dove prevalgono rocce calcaree e forme più morbide.
   In questo territorio, appena ad oriente del Lago Maggiore, si trova Cittiglio, all’imbocco della Valcuvia, una valle che si forma da est verso ovest; a nord i Pizzoni di Laveno e l’anticlinale della Valcuvia la separano dall'alto Verbano; a sud il Monte del Campo dei Fiori divide la Valcuvia da Varese e dalla zona del Lago omonimo.
   La calotta di ghiaccio che nell’era quaternaria coprì i nostri territori, provocò con il suo movimento, un’erosione di grandi proporzioni che causò al momento del disgelo, l’invaso dei nostri laghi che erano un tempo più estesi. La forte pressione esercitata ai suoi margini creò delle creste moreniche, dovute all’accumulo di materiale strappato ai lati delle montagne, dove scorrevano lingue di ghiaccio. L’azione d’erosione cambiò l’orografia della valle creando un nuovo paesaggio più complesso e mosso. Le acque sciogliendosi si riversarono a valle dando luogo a grandi aree paludose. Il fiume Boesio di Cittiglio, ingrandito dai suoi affluenti, prima di riversarsi nel lago Maggiore, creò ampie sacche d’acque stagnanti che rimasero quasi fino ai nostri giorni. Con il passare degli anni, l’uomo bonificò le paludi e creò zone per la coltivazione agricola, questo diede un assetto più stabile al fiume con la conseguente creazione d’argini. Il nostro paesaggio è determinato dall’impegno dell’uomo che lo ha modificato con il lavoro agricolo, ciò è testimoniato dai terrazzamenti costruiti sulla fascia collinare che servivano per la coltivazione. Con l’industrializzazione avvenne un progressivo abbandono delle campagne con il conseguente disuso dei pascoli e la scomparsa dei vecchi sentieri; il bosco, un tempo luogo di caccia, ritornò ad essere territorio selvaggio. Per quanto concerne il disboscamento, si può ipotizzare che ebbe inizio durante l’Impero Romano continuando nelle epoche seguenti, con la conseguente distruzione dei boschi di conifere e la comparsa di terreni brulli e sterili. Con il diminuire delle conifere, abbiamo il prevalere degli alberi di latifoglie come il Fagus sylvatica, Castanea sativa e il Quercus pubescens. Un paesaggio molto particolare del nostro territorio è costituito dalla Val Busegia (zona di Vararo) che presenta una morfologia molto spoglia con un manto vegetale costituito prettamente da erba e distese a pascolo; si possono trovare rare piante di ginepro e piccoli arbusti di betulla e faggio. Il carattere brullo della valle è dovuto alla presenza di dolomia, particolare roccia entro la quale sono presenti numerose sezioni di fossili uniti alla roccia.
   Il territorio varesino si compone a grandi linee in tre zone, avente ciascuna caratteristiche differenti. Le tre zone sono:
- la zona di montagna;
- la zona di collina e media montagna;
- la zona di pianura.
   A loro volta, ciascuna di questa zona, si può suddividere in una serie di zone omogenee, assimilabili alla luce delle odierne conoscenze, a veri e propri bacini idrogeologici. Nella zona di montagna si possono individuare i bacini: DUMENZA, VALCUVIA, MARGORABBIA, LUINO, CUASSO-PONTE TRESA, CASTELVECCANA.


Panorama di Cittiglio

IL BACINO DELLA VALCUVIA

   Il bacino di maggiore interesse di questa zona è l’ampia area dominata dal torrente Boesio, alla quale è stata data la denominazione di bacino della Valcuvia.
   La struttura idrogeologica della Valcuvia è caratterizzata dalla sovrapposizione di terreni permeabili, di natura morenica e alluvionale, a rocce calcaree, che formano l’ossatura del bacino.
   Fatta eccezione per la formazione di Cunardo e per le marne del Pizzella, tutte le unità litologiche rappresentate nella regione sono permeabili; pertanto i limiti del bacino della Valcuvia sono determinati più dalla piezometria (misurazione della compressibilità dei fluidi) che dalla litologia, e gli scambi con i bacini adiacenti sono senza dubbio importanti attraverso i condotti carsici e i sistemi di frattura maggiori.

CARATTERI GEOLOGICI

   Il versante settentrionale della Valcuvia risulta costituito da rocce calcaree e calcareo - dolomitiche, suddivise in due importanti unità tettoniche: l’anticlinale della Valcuvia e il sovrascorrimento dei Pizzoni di Laveno.
   Si tratta di complessi rocciosi, le cui discontinuità (stratificazione e fratture) danno luogo a una vasta circolazione sotterranea che converge verso l’asse della valle dando luogo a importanti sorgenti carsiche o miste (sorgenti delle Nove Fontane presso Laveno).
   Tale circolazione è favorita dall’esistenza di notevoli fratture parallele all’asse della valle, che separano le due unità menzionate, e in particolare l’anticlinale della Valcuvia dalla struttura del Campo dei Fiori. Questi sistemi di fratture convogliano, infatti, in parte nelle acque dell’anticlinale del Campo dei Fiori verso il bacino della Valcuvia, in direzione est-ovest.
   Il fondovalle è invece costituito da depositi morenici (molto evidenti alcuni archi morenici wurmiani) e alluvionali. Questi hanno un considerevole spessore, che è limitato nella sua entità dall’intercalazione assai frequente di sedimenti argillosi, non utilizzabili ai fini dell’approvvigionamento idrico.
   Sono frequenti ed ampi i coni di deiezione dei corsi d’acqua secondari, che si immettono nel bacino principale.

STRUTTURA IDROGEOLOGICA

   Gli acquiferi della Valcuvia sono poco noti, esistono solamente alcuni pozzi particolarmente profondi, tali da rendere evidente nella sua interezza la struttura della roccia del substrato e dei depositi acquiferi.
   La forma del substrato roccioso, in tutta la valle, appare modellata dall’azione glaciale: essa infatti si presenta con una serie da conche, separate da rialzi (soglie) in roccia. Queste conche, dopo il ritiro glaciale, furono sede di laghi, la cui esistenza si protrasse per un periodo assai rilevante.
   Ne è risultata la sedimentazione di argille e limi sabbiosi, contenenti rare lenti di ghiaia la cui estensione e spessore si fanno particolarmente sensibili nelle ultime fasi di sedimentazione, quando all’ambiente lacustre si erano venute a sovrapporre condizioni diverse, che lasciavano spazio alla sedimentazione di depositi alluvionali.
   La forma e l’altimetria del substrato sono quindi molto variabili, dipendendo essenzialmente dall’esarazione glaciale. In alcuni punti della bassa valle lo spessore totale dei depositi lacustri e alluvionali può superare i 140 metri. In questo settore gli acquiferi sono tutti concentrati in superficie; in un punto (all’altezza di Molinetto) sono state trovate tre distinte falde, fino alla profondità di ben 80 metri, i cui acquiferi hanno ciascuno potenza inferiore ai 10 metri. Lo spessore massimo dei sedimenti lacustri e alluvionali è di circa 160 metri e la continuità laterale degli acquiferi è discreta, estendendosi per qualche chilometro quadrato, comprendente l’intera larghezza della valle. In senso parallelo all’asse della valle i dati esistenti dimostrano che la continuità degli acquiferi è limitata e che essi hanno l’aspetto di lenti forse intercomunicanti di lunghezza inferiore al chilometro.
   In alcuni punti, anche a centro-valle, il substrato si approssima alla superficie; il caso più noto è quello di Brenta, dove a poco meno di 20 metri si trova il substrato in corrispondenza dell’ex conceria Fraschini. Per quanto, tale sbarramento, non si estenda su tutta la larghezza della valle, è sufficiente a impedire buona parte del deflusso sotterraneo proveniente dalla media e alta Valcuvia.
   In generale la struttura idrogeologica della Valcuvia risulta caratterizzata dalla presenza di una falda freatica superficiale abbastanza continua e ben alimentata dalle precipitazioni e dalle infiltrazioni dai conuidi, per le perdite dei corsi d’acqua; in profondità esistono acquiferi di scarso spessore, di continuità lineare limitata, specie in senso parallelo all’asse della valle, dalla presenza di materiali impermeabili (argille) o da irregolari "soglie" del substrato roccioso.
   Lo spessore dei terreni permeabili rispetto al totale dei depositi alluvionali e lacustri raggiunge un massimo del 20%, per lo più concentrato nel primo acquifero.
   Rispetto a questo schema si differenziano nettamente l’alta Valcuvia e la bassa valle.
   Nell’alta valle predominano nettamente i sedimenti fini, in specie quelli argillosi e torbosi che complessivamente raggiungono oltre il 90% dell’intera copertura lacustre e alluvionale del substrato, dove gli acquiferi sono ridotti a pochi metri di terreno mediocremente permeabile.
   Nella bassa valle, dove la presenza di cospicui affluenti del torrente Boesio (esempio valle S. Giulio) determina la presenza di uno spesso primo acquifero, gli episodi permeabili sono più frequenti e abbondanti della media. In questo settore, che comprende l’abitato di Laveno, si nota quindi una maggiore potenzialità idrica, rafforzata dalle numerose sorgenti alimentate in gran parte da condotti carsici, in corrispondenza dei settori comprendenti il maggiore spessore di depositi permeabili, di origine alluvionale o detritica.
   L’andamento della superficie piezometrica è caratterizzato da forti rinserramenti delle isopieze nei settori in cui compaiono terreni meno permeabili, ad esempio morenici come fra Canonica e Rancio.
   L’inclinazione della superficie piezometrica raggiunge in tali occasioni il 9%o, mentre nella zona di Laveno Mombello, i valori massimi dei gradienti sono del 5%o, denotando una maggiore regolarità di alimentazione e deflusso (sia pure in settori limitati).
   Un elemento molto importante della piezometria è dato dal fatto che l’andamento delle linee di flusso mostra come la falda della Valcuvia alimenti in modo molto evidente la falda della piana Caravate-Monvalle. Ciò avviene aggirando lateralmente la soglia di Brenta; è quindi molto probabile che buona parte delle acque provenienti dall’alta Valcuvia e dalle pendici sovrastanti Orino e Azzio sia incanalata, non verso Laveno, ma verso un altro bacino attiguo. L’entità esatta di tale alimentazione sfugge, ma appare comunque molto limitata dalle frequenti emergenze del substrato e dalla non grande permeabilità nei terreni nei quali questo deflusso si realizza.

BILANCIO IDRICO

   La descrizione generale degli acquiferi ha permesso di costatare che il complesso del serbatoio acquifero ha uno spessore medio di circa 20 metri nelle aree più ricche, dove si incontrano pozzi con buona resa (anche 15 l/s con un metro di abbassamento.)
   Una stima soggettiva del volume d’acqua che vi è contenuto può essere fatta in base alla litologia (predominanza tra gli acquiferi delle ghiaie con sabbie) che indicherebbe nel 10 % circa la porosità efficace di questi acquiferi. Le aree più ricche rivelerebbero, in base a questo calcolo, un’entità delle riserve idriche di circa 2 milioni di metri cubi per chilometro quadrato di struttura.
   Le sorgenti forniscono un buon contributo, specie quelle delle Nove Fontane che traggono in gran parte la loro alimentazione dai Pizzoni di Laveno e dai contrafforti occidentali del monte Nudo e quelle di Gemonio, che traggono invece alimentazione dalla coltre morenica e detritica dei versanti meridionali della valle. La portata complessiva delle sorgenti di quest’aera è fra le maggiori di tutta la Provincia di Varese: la cosa si spiega con l’elevata permeabilità dei terreni carsici di questa zona e con la grande estensione territoriale che, unitamente alla giacitura favorevole degli strati, consente una facile infiltrazione.
   Un bilancio idrico complessivo della Valcuvia consente di osservare come si realizzi un notevole vantaggio a favore delle infiltrazioni sui prelievi, con un leggero sbilancio a favore di questi ultimi in prossimità dei centri industriali e urbani maggiori (esempio Laveno).

BACINO PRIMARIO:

   Lago Maggiore

BACINO SECONDARIO:

   Torrente Boesio (o Bovesio) con la roggia Fassara (da Cittiglio a Laveno)


Torrente San Giulio, la seconda cascata

BACINO TERZIARIO:

   Rio Val Fareda
   Rio Val Magione (o Torrente Serpino)
   Rio Crucione
   Rio del Camposanto
   Torrente San Giulio
   Torrente Marianna
   Torrente Gottardo o Ferro
   Torrente Broveda
   Torrente Bulgerone (o Val d’Azzio)
   Rio Bolto
   Roggia Jona

COMUNI AMMINISTRATIVI IN CUI E' COMPRESO IL SISTEMA IMBIFERO:

   Laveno Mombello, Cittiglio, Caravate, Gemonio, Brenta, Cuvio, Casalzuigno, Castelveccana, Cuveglio e Azzio
Bacini idrogeologici
Carta idrogeologica
Bacini idrografici
Profilo idrogeologico

LAGO MAGGIORE

Il lago Maggiore (o Verbano, ted. Langensee), la cui superficie è condivisa tra Italia e Svizzera, è uno dei principali laghi alpini ed il secondo più grande lago in Italia. Bagna le province di Varese, Verbano Cusio Ossola, Novara ed il Canton Ticino, in Svizzera.

Morfologia

Il Lago Maggiore si trova ad un'altezza di circa 193 m s.l.m., la sua superficie è di 212 km2 di cui circa l'80% è situata in territorio italiano e il rimanente 20% in territorio svizzero.
Ha un perimetro di 170 km, è lungo 54 km, la larghezza massima è di 10 km e quella media di 3,9 km. Il volume d'acqua contenuto è pari a 37,5 miliardi di m3 di acqua con un tempo teorico di ricambio pari a circa 4 anni.


Il bacino imbrifero è molto vasto, pari a circa 6.599 km2 divisi quasi equamente tra Italia e Svizzera (il rapporto tra la superficie del bacino e quella del lago è pari 31,1), la massima altitudine di bacino è Punta Dufour nel massiccio del Monte Rosa (4.633 m s.l.m.) quella media è invece di 1.270 m s.l.m.
Il bacino è caratterizzato dall'esistenza di una trentina di invasi artificiali con una raccolta di circa 600 milioni di m3 d'acqua, se rilasciati in modo contemporaneo, eleverebbero il livello del lago di circa 2,5 m.


La massima profondità è 370 m (al largo di Ghiffa).


Porzione del Lago Maggiore
Gli immissari maggiori sono il Ticino, il Maggia, il Toce (che riceve le acque del torrente Strona e quindi del lago d'Orta) e il Tresa (a sua volta emissario del lago di Lugano). I tributari maggiori hanno un andamento di deflusso diverso, mentre Ticino e Toce che hanno un bacino imbrifero ad alte quote raggiungono un flusso massimo nel periodo compreso fra maggio e ottobre in coincidenza allo scioglimento di nevi e ghiacciai, gli altri tributari hanno un andamento fortemente influenzato dalle precipitazioni. Immissari minori sono i torrenti Verzasca, Cannobino, San Bernardino, Giona, Margorabbia e Boesio.
L'unico emissario è il Ticino che fluisce dal lago a Sesto Calende.


Geologia

L'origine del Lago Maggiore è sicuramente glaciale, ne è testimone la disposizione delle colline formate da depositi morenici di natura glaciale. È però ormai accertato che l'escavazione glaciale è avvenuta su una preesistente valle fluviale, il profilo del lago ha infatti la tipica forma a V delle valli fluviali.
Come materiale da costruzione è stato molto utilizzato in passato il granito rosa di Baveno.
Sono peraltro conosciuti gli usi costruttivi antichi della pietra d'Angera (utilizzata ad esempio nell'antichità classica, e nel periodo medioevale), mentre le cave di calcare di Caldé fornirono per lunghissimi secoli la materia prima per la calcina con cui furono innalzati edifici di Lombardia e Piemonte: complice la facilità di trasporto tramite barca, prima sul lago, indi sui navigli milanesi (http://verbanensia.org)


Isole

Nel Lago Maggiore sono presenti molte isole grandi, piccole o minuscole, divise tra le otto del Piemonte, le due della Svizzera e l'unica in Lombardia, per un totale di undici.
Fra Stresa e Verbania si trova l'arcipelago delle Isole Borromee: l'Isola Bella, l'Isola Madre e l'Isola dei pescatori nota anche come isola Superiore.
Di fronte alla località svizzera di Brissago si trovano le due Isole di Brissago.
Di fronte alla costa di Cannero Riviera si trovano invece i tre scogli emersi detti Castelli di Cannero: lo scoglio maggiore, totalmente occupato oggidì dal manufatto bellico della Vitaliana, rocca voluta dal conte Ludovico Borromeo a partire dal 1518, lo scoglio minore, su cui si ergono i ruderi delle cosiddette "prigioni", ma, in effetti, una torricella avanzata con cannoniera a falconetti di presidio meridionale al porto canale, e finalmente lo scoglietto (verso Maccagno) del "Melgonaro", su cui cresce solo una stenta ma tenace pianta che ha affascinato poeti e incisori quali Piero Chiara, Marco Costantini, Carlo Rapp.
Vanno infine citati, l'Isolino di San Giovanni di fronte a Verbania, l'isolotto La Malghera tra L'Isola Bella e quella dei Pescatori e quindi l'Isolino Partegora nel piccolo golfo di Angera.


Flora

Per definire la flora del lago Maggiore si usa spesso il termine improprio di flora insubrica. La flora è fortemente influenzata dal bacino lacustre e che ha permesso la proliferazione di piante tipicamente mediterranee ed altre originarie delle zone atlantiche favorite dalla composizione del terreno e dall'abbondanza di rocce silicee. Vi crescono limoni, olivi e l'alloro. Prosperano le acidofile, camelie, azalee, rododendri e magnolie che si possono ammirare nei numerosi e splendidi giardini che si susseguono sulla costa piemontese. La vegetazione spontanea è composta da tassi, gli agrifogli e i castagni sulle colline circostanti.

Fauna

Nel lago vivono due specie di coregoni, quello bianco e meno diffuso quello blu. Entrambi vivono in acque profonde e vengono a riva solo durante la fregola nei primi di dicembre. Vi si trovano inoltre il pesce persico, il luccio, il cavedano, la bottatrice, le anguille e le alborelle.

Venti

Come tutti i laghi prealpini, il Lago Maggiore è percorso, soprattutto nella bella stagione, da due tipi di venti prevalenti, uno che spira al mattino dalle montagne verso la pianura (detto moscendrino a volte tramontana) ed un venticello che spira dalla pianura alla montagna soprattutto durante il pomeriggio (detto inverna). Questi venti costanti fanno dei laghi prealpini un ottimo campo, dove adoperarsi in sport che usano appunto il vento, come la vela e il windsurf. Il Lago Maggiore ha dei punti particolari, soprattutto nella parte alta, dove le montagne si stringono a formare una stretta valle in cui questi venti spirano molto forti.
Ci sono poi altri venti tipici di questo lago come l'invernone, che spira da sud-ovest e porta in genere tempesta, il maggiore, che viene da nord-est ed è molto pericoloso in quanto agita parecchio il lago, il valmaggino che spira leggermente dalle valli dietro Locarno, il mergozzo, che spira soprattutto di notte, da nord-ovest.



Le zone sismiche assegnate al territorio comunale di Cittiglio per la normativa edilizia e la zona climatica per la regolamentazione degli impianti termici.

Rischio sismico di Cittiglio

La classificazione sismica del territorio nazionale ha introdotto normative tecnichespecifiche per le costruzioni di edifici, ponti ed altre opere in aree geografiche caratterizzate dal medesimo rischio sismico.
In basso è riportata la zona sismica per il territorio di Cittiglio, indicata nell'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274/2003, aggiornata con la Delibera della Giunta Regionale della Lombardia n. 14964 del 7.11.2003.
Zona sismica
4
Zona con pericolosità sismica molto bassa.
E' la zona meno pericolosa dove le possibilità di danni sismici sono basse.
I criteri per l'aggiornamento della mappa di pericolosità sismica sono stati definiti nell'Ordinanza del PCM n. 3519/2006, che ha suddiviso l'intero territorio nazionale in quattro zone sismiche sulla base del valore dell'accelerazione orizzontale massima su suolo rigido o pianeggiante ag, che ha una probabilità del 10% di essere superata in 50 anni.
Zona
sismica
Fenomeni riscontratiAccelerazione con probabilità di superamento del 10% in 50 anni
1Zona con pericolosità sismica alta.
Indica la zona più pericolosa, dove possono verificarsi forti terremoti.
ag ≥ 0,25g
2Zona con pericolosità sismica media, dove possono verificarsi terremoti abbastanza forti.0,15 ≤ ag < 0,25g
3Zona con pericolosità sismica bassa, che può essere soggetta a scuotimenti modesti.0,05 ≤ ag < 0,15g
4Zona con pericolosità sismica molto bassa.
E' la zona meno pericolosa, dove le possibilità di danni sismici sono basse.
ag < 0,05g

Classificazione climatica di Cittiglio

La classificazione climatica dei comuni italiani è stata introdotta per regolamentare il funzionamento ed il periodo di esercizio degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia.
In basso è riportata la zona climatica per il territorio di Cittiglio, assegnata con Decreto del Presidente della Repubblica n. 412 del 26 agosto 1993.
Zona climatica
E
Periodo di accensione degli impianti termici: dal 15 ottobre al 15 aprile (14 ore giornaliere), salvo ampliamenti disposti dal Sindaco.
Gradi-giorno
2.501
Il grado-giorno (GG) di una località è l'unità di misura che stima il fabbisogno energetico necessario per mantenere un clima confortevole nelle abitazioni.
Rappresenta la somma, estesa a tutti i giorni di un periodo annuale convenzionale di riscaldamento, degli incrementi medi giornalieri di temperatura necessari per raggiungere la soglia di 20 °C.
Più alto è il valore del GG e maggiore è la necessità di tenere acceso l'impianto termico.
Il territorio italiano è suddiviso nelle seguenti sei zone climatiche che variano in funzione dei gradi-giorno indipendentemente dall'ubicazione geografica.
Zona
climatica
Gradi-giornoPeriodoNumero di ore
Acomuni con GG ≤ 6001° dicembre - 15 marzo6 ore giornaliere
B600 < comuni con GG ≤ 9001° dicembre - 31 marzo8 ore giornaliere
C900 < comuni con GG ≤ 1.40015 novembre - 31 marzo10 ore giornaliere
D1.400 < comuni con GG ≤ 2.1001° novembre - 15 aprile12 ore giornaliere
E2.100 < comuni con GG ≤ 3.00015 ottobre - 15 aprile14 ore giornaliere
Fcomuni con GG > 3.000tutto l'annonessuna limitazione
















AMBIENTE NATURALE DI CITTIGLIO

La calotta di ghiaccio che nell’era quaternaria coprì i nostri territori, provocò con il suo movimento, un’erosione di grandi proporzioni che causò al momento del disgelo, l’invaso dei nostri laghi che erano un tempo più estesi. La forte pressione esercitata ai suoi margini creò delle creste moreniche, dovute all’accumulo di materiale strappato ai lati delle montagne, dove scorrevano lingue di ghiaccio. L’azione d’erosione cambiò l’orografia della valle creando un nuovo paesaggio più complesso e mosso. Le acque sciogliendosi si riversarono a valle dando luogo a grandi aree paludose. Il fiume Boesio di Cittiglio, ingrandito dai suoi affluenti, prima di riversarsi nel lago Maggiore, creò ampie sacche d’acque stagnanti che rimasero quasi fino ai nostri giorni. Con il passare degli anni, l’uomo bonificò le paludi e creò zone per la coltivazione agricola, questo diede un assetto più stabile al fiume con la conseguente creazione d’argini. Il nostro paesaggio è determinato dall’impegno dell’uomo che lo ha modificato con il lavoro agricolo, ciò è testimoniato dai terrazzamenti costruiti sulla fascia collinare che servivano per la coltivazione. Con l’industrializzazione avvenne un progressivo abbandono delle campagne con il conseguente disuso dei pascoli e la scomparsa dei vecchi sentieri; il bosco, un tempo luogo di caccia, ritornò ad essere territorio selvaggio. Per quanto concerne il disboscamento, si può ipotizzare che ebbe inizio durante l’Impero Romano continuando nelle epoche seguenti, con la conseguente distruzione dei boschi di conifere e la comparsa di terreni brulli e sterili. Con il diminuire delle conifere, abbiamo il prevalere degli alberi di latifoglie come il Fagus sylvatica, Castanea sativa e il Quercus pubescens. Un paesaggio molto particolare del nostro territorio è costituito dalla Val Busegia (zona di Vararo) che presenta una morfologia molto spoglia con un manto vegetale costituito prettamente da erba e distese a pascolo; si possono trovare rare piante di ginepro e piccoli arbusti di betulla e faggio. Il carattere brullo della valle è dovuto alla presenza di dolomia, particolare roccia entro la quale sono presenti numerose sezioni di fossili uniti alla roccia.

FLORA E FAUNA

Per quanto concerne la flora oltre le già citate essenze- Fagus sylvatica (Faggio),Castanea sativa (Castagno), Quercus pubescens (Quercia) - possiamo trovare una ricca e diversa gamma di varietà come: il Cornus mas (Corniolo), il Corylus avellana (Nocciolo), Erica carnea (Erica), Betula alba (Betulla), Salix capraea (Salice caprino), Taxus baccata (Tasso), Juniperus communis (Ginepro), Crataegus monogyna (Biancospino), Viburnum lantana (Viburno), Fraxinus excelsior (Frassino), Acer pseudoplatanus (Acero di monte), Cytisus scoparius (Ginestra), Clematis vitalba (clematide), Rosa canina (Rosa), Cytisus laburnum (Maggiociondolo), Convallaria majalis (Mughetto), Sambucus nigra (Sambuco nero), Ruscus aculeatus (Pungitopo), Prunus avium (Ciliegio selvatico), Vinca minor (Pervinca), Arum italicum (Gigaro), Pulmonaria officinalis (Polmonaria), Bellis perennis (Pratolina), Tarassacum officinalis (Tarassaco), Primula veris (Primula comune), Anemone nemorosa (Anemone Bianca), Helleborus viridis (Elleboro verde), Viola hirta (Violetta), Galanthus nivalis (Bucaneve), Adiatum capillus veneris (Capelvenere).
La fauna del territorio di Cittiglio è molto simile a quella che si trova in Lombardia; vi ritroviamo la Lepre (Lepus europaeus) che però è abbastanza rara, lo Scoiattolo (Scirus vulgaris) particolarmente quello dal pelame rossiccio. Tra i roditori è presente il Ghiro (Glis glis), il Moscardino (Muscardinus avellanarius), il Topo campagnolo (Apodemus agrarius), il Topo selvatico (Apodemus sylvaticus), il Toporagno (Sorex araneus), la Talpa (Talpa europaeus) e l’Arvicola (Arvicola terrestris). Diffuso è il Riccio (Erinaceus europaeus), insettivoro molto utile ma poco visibile per le sue abitudini notturne; tra i mammiferi non vanno dimenticati i Pipistrelli (Pipistrellus pipistrellus) che come il Riccio si nutre d’insetti. Rare sono la Faina (Martes foina), il Tasso (Meles meles) e la Martora (Martes martes), soggette in passato ad una caccia spietata, ancora molto diffusa è la Volpe (Vulpes vulpes) sebbene sia ancora cacciata in modo massiccio non considerando la sua importante funzione di nutrirsi di capi vecchi e malati. Nel tentativo di arricchire la fauna locale sono state introdotte specie non autoctone come il Cinghiale (Sus scrofa), il Capriolo (Capreolus capreolus), il Cervo (Cervus elaphus) e il Muflone (Ovis musimon) che purtroppo hanno alterato l’equilibrio ecologico non avendo nemici naturali; attualmente nel caso del Cinghiale si sta procedendo ad una caccia di selezione per diminuire il numero dei capi che molto spesso danneggiano i raccolti e le coltivazioni. Notevoli sono le specie d’uccelli come il Fagiano (Phasianus colchicus), il Merlo (Turdus merula), la Cesena (Turdus pilaris), l’Allodola (Alauda arvenis), il Tordo bottaccio (Turdus philomelos), il Tordo sassello (Turdus iliacus), la Tortora (Streptopelia turtur), la Cornacchia grigia (Corvus corone), la Gazza (Pica pica), il Nibbio bruno (Milvus migrans), la Poiana (Buteo buteo), il Pettirosso (Erithacs rubecula), la Cinciallegra (Parus major), il Picchio verde (Picus viridis), il Passero domestico (Passer domesticue italiae), l’Allocco (Strix aluco), la Civetta (Athene noctua).

IL LAGO MORO

LA PIANA ALLUVIONALE DI FONDOVALLE

    Provenendo dalla sassosa mulattiera che unisce Laveno a Vararo, proprio al termine della ripida salita, il viandante, ormai stanco, trovava ristoro e refrigerio presso il piccolo pianoro di Magone, uno splendido praticello a ridosso dei monti, dalla verde erba sempre bassa e contenuta per il costante brucare delle mandrie.
   Sul lato sinistro, un piccolo stagno che serviva per l’abbeveraggio dei bovini, era trattenuto da grossi sassi tondeggianti che ne consolidavano le sponde; a destra, un poco più in basso, al termine di una breve gradinata una fresca fontana sgorgava abbondante per dissetare i passanti e per rifornire d’acqua gli abitanti delle Casere che giungevano giornalmente dal vicino abitato con i loro capienti secchi cigolanti.
   Davanti si stendeva il suggestivo lago, racchiuso entro la cerchia alpina.
   Superato Magone, percorrendo un breve tratto di mulattiera incassata tra zone prative, si giungeva prestamente alle Casere (frazione montana di Laveno Mombello posto a 750 metri circa di altitudine) ove un tempo i contadini lavenesi passavano l’estate all’alpe col bestiame.
   Successivamente, alcune famiglie scelsero le Casere come residenza, accrebbero e migliorarono le strutture abitative, trasformando poco alla volta quel luogo di alpeggio in un piccolo nucleo contadino.
   Le sue abitazioni, poste in luogo riparato e soleggiato, sovrastate dalle fasce boschive della Trebbia e del Sasso Barbè, abbracciavano l’intera valle. Di fronte, i campi e i prati si stendevano occupando la conca alluvionale serrata tra i monti, e i più miti declivi circostanti. La strada, stretta tra le rustiche case, proseguiva per correre tra quei campi e quei prati sino al paesino di Vararo e perdersi tra i monti.
   A settentrione, i terreni in declivio, rotti qua e là da vallecole, andavano a raggiungere i boschi sovrastanti. A mezzogiorno e a levante i coltivi si stendevano ampiamente con andamento vario e quasi pianeggiante per poi tuffarsi repentinamente, convertendosi in bosco, verso il torrente S. Giulio che corre, già sul suo nascere, sensibilmente incassato nella valle, in direzione di Cittiglio.
   Questa valletta torrentizia, ove sgorga la fresca sorgente della Fontana Mora era occupata in tempi lontanissimi da un laghetto di origine glaciale, in seguito prosciugatosi per la rottura degli sbarramenti a valle.
   Il terreno ancora fortemente acquitrinoso in molti punti e la particolare flora presente sono l’ultima testimonianza avallata anche dalla documentazione settecentesca e ottocentesca che dava a questa località i nomi di Campo Marcio, Lisca e lago Moro.
   Al di là della valletta, ad uguale altitudine, la piana riprendeva nuovamente a verdeggiare per spingersi fino alla stradina consorziale di Propiano (in comune di Laveno) e della val Somazza (oggi suo prolungamento in comune di Cittiglio, allora in comune di Vararo). Oltre la stradina, sulla quale si affacciavano alcuni cascinali, un ampio prato, cinto da siepi di nocciolo, saliva, ricco di erbe e di fiori, verso le pendici del Sasso del Ferro. Era questo il Prato del Boschetto su cui si ergeva una rustica costruzione denominata Casèl de Bas, al suo fianco un grosso albero di pere tipiche di questi luoghi dava abbondanti splendidi frutti: i piseur.
Intorno ai primi del '900 una rovinosa alluvione ne provocò il crollo, più tardi un nuovo casello (ul Casèl de Scima) sorse in un luogo più sicuro, sulla sommità del prato, dove è visibile attualmente. Dove c’era il vecchio casello rimasero una grossa catasta di sassi e il grande ombroso albero ancora oggi continua a dare i frutti.
   Più in basso, a guardia della sottostante valle, sprofondato nel verde, vi era un altro casello dall’architettura semplice e dall’aspetto aggraziato: "ul Casèl du la Bianca". Davanti alla rustica costruzione passava il sentiero che, attraverso la sottostante val Somazza e il Faì (o Val di Lader), raggiungeva con andamento zigzagante e scosceso il torrente S. Giulio, per poi allacciarsi alla stradina boschiva Vararo-Cittiglio, allora unica via di comunicazione tra i due paesi.
   Poco discosto dal casello, un prato in sensibile salita, stretto tra i sentieri e circoscritto da siepi alberate, ci riportava, seguendo un sentiero tra le erbe, alla strada consorziale. Questa area prativa, luogo dove si fabbricava il carbone di legna, era denominata Corduminio; per la sua felice posizione, alla confluenza di numerosi sentieri montani, era stato scelto per svolgere tale attività.
   A monte, sopra la strada, a pochi metri dalla siepe di nocciolo che cingeva il prato del boschetto, era in funzione un forno per la fabbricazione della calce. In una cavità di forma concava, ricavata nel terreno e chiusa da pietre disposte a volta, cuoceva il materiale litico, reperito nelle immediate vicinanze, per ottenere la calce.
   Poco discosta, in località Fontanino, tra boschi di faggio, sgorgava una sorgente dalle acque freschissime; fluiva da un cannello al culmine di un grazioso praticello posto a ventaglio tra la faggeta e il torrente.
   Oltre la sorgente, la stradina si divideva in più diramazioni per farsi sentiero e inoltrarsi tra i boschi in direzione della Piana, dei Mulini e del Faì.
   Dal Fontanino, volgendo lo sguardo oltre la valle del S. Giulio, adagiato sulle basse pendici dei Pizzoni, si staglia il rustico paesino di Vararo, a 726 metri s.l.m., stretto tra i coltivi terrazzati e le fasce prative in declivio. Poco discosti dal paese, ben visibili, la chiesa, l’edificio comunale ed il piccolo cimitero; a monte splendidi castagneti. Al loro limitare, verso ovest, in località della Cassina del Chignolo (dove attualmente passa la rotabile per Cuvignone) vi erano altri cascinali e qualche piccolo casello.
   Oltre le case di Vararo, a levante, alcuni sentieri conducevano ai dolci rilievi della località Aqueta, dove sorgevano due rustiche costruzioni poste in felicissima posizione (quella sita più in basso, prospiciente la valle sottostante, fu infelicemente ristrutturata per accogliere un ristorante). Più su la stradina di Bedré, affiancata dai prati, introduceva in val Busegia e ai monti circostanti.

PROBABILE CONFIGURAZIONE DEL LAGO MORO

   Il piccolo lago, posto ad un’altitudine di metri 725 s.l.m., si estendeva presumibilmente per una lunghezza di 140 metri, mentre la sua larghezza massima raggiungeva all’incirca la settantina; il suo aspetto era vagamente a forma di falce e doveva misurare una profondità massima non superiore ai 15 metri.
   I mappali numero 445 e 446, indicati nella carta catastale del Lombardo Veneto con la denominazione di Lago Moro, erano ovviamente in passato occupati dalle acque del lago e venivano a costituire il suo lembo estremo che lambiva i pendii a monte della fontana Mora.
   La conformazione del suolo indica chiaramente quale poteva essere il suo punto dove cedette lo sbarramento naturale.


Probabile configurazione del Lago Moro

   Il laghetto era alimentato da alcune fonti tra cui la fresca sorgente della fontana Mora e dalle acque meteoriche di scorrimento del suo bacino imbifero.
   Le acque del lago si riversavano copiosamente e con getto continuo nel torrente S. Giulio che prende vita dal sistema idrico che percorre l’intera conca di Vararo.
   Non è stato possibile appurare quando sia avvenuto il cedimento. Certamente si è verificato precedentemente alla stesura delle mappe Teresiane settecentesche, perché non ne fanno cenno.
   Nonostante il volgere dei secoli si è mantenuto vivo nei vararesi il ricordo del lago e dei danni causati in seguito al cedimento dello sbarramento naturale che provocò il crollo di alcune costruzioni poste sul corso del S. Giulio e che costò la vita a più persone.
   Il lago diede il nome anche ad un casello (Casèl dul Moro) sito a monte della fontana Mora, i cui resti erano ancora presenti, come ricordano alcuni vararesi, intorno agli anni 1920-30.
























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