Nel 1808 dal benemerito Carlo Luvini veniva istituito
l’Ospedale, ampliato poi dalla nobile Geltrude Beolchi e dal Sacerdote
Francesco Longhi, ed in questi anni portato all’altezza dei tempi per merito del
Comm. Giulio Spelta e divenuto Ospedale di Circolo per cinquantotto Comuni.
Il 26 maggio del
1822 muore a Milano Carlo Luini; nel suo testamento lasciava la villa ad uso
ospedale: la capienza allora era di quindici donne e quindici uomini.
La cura degli
infermi e la direzione interna dello stabilimento, nel 1876, come sappiamo da
Achille Jemoli (noto con lo pseudonimo di Michele Lajoli, che nel 1879 sarà
nominato anch’egli membro del consiglio di gestione dell’Ospedale), erano
affidati all’esimio signor dottore Massimo Sangalli, che da oltre trentacinque
anni ne disimpegnava le mansioni con amore e zelo indefesso; il dottor Sangalli
era investito della Condotta Medico-Chirurgica di Cittiglio e comuni uniti.

Una delle lapidi con
i nomi dei primi donatori
In base allo
statuto approvato con R.d. 13 gennaio 1866 gli stabili ed altri beni
dell’Ospedale Luvini sono amministrati da una Commissione di cinque probi
cittadini scelti fra gli iscritti alle liste amministrative e i componenti di
congregazioni di carità dei paesi delle tre Pievi di Cuvio, Besozzo e Leggiuno,
a cui l’Ospedale faceva servizio. La Commissione è nominata dal Consiglio
Provinciale ed è assistita da un Segretario, da un Cassiere e da un Fattore per
ciò che riguarda l’azienda agricola nei vari paesi.
Nella frazione
Fracce era pure stabilita una Farmacia per il comodo e pronto servizio del
pubblico e dell’ospedale.

La vecchia entrata
Dopo che gli
austriaci sloggiarono dalle fortificazioni di Laveno, nel giugno del 1859, furono
trasportati nell’Ospedale Luvini quattro Cacciatori delle Alpi ed un Ufficiale
dello stesso corpo, che erano stati feriti e rimasti prigionieri nell’attacco
notturno del più elevato forte denominato Castello. In questo stabilimento
furono curati e trattati come in famiglia, e non lo abbandonarono che a
compiuta guarigione.
Nei primi del '900 l’Ospedale disponeva di una quarantina di
posti letto, aumentati poi a sessanta circa quando l’ente si trasformò in
Ospedale di Circolo Causa Pia Luvini, nel 1929. In quegli anni fu aperto il
padiglione maternità Luigia Rusconi ved. Bernardoni; nel 1964 e 1971 altri
nuovi padiglioni sono stati costruiti di fronte ai vecchi edifici.
CAUSA PIA LUVINI:
LE PREMESSE PER LA REALIZZAZIONE DI UN OSPEDALE
Il giorno 15 novembre del 1804 il nobile Carlo Luini,
giacendo infermo nella sua casa di Milano, detta a viva voce al notaio Pietro
Baroffio il proprio testamento nuncupativo implicito.
In esso,
innanzitutto, "l’illustre infermo" dispone per le proprie esequie e
si preoccupa per la salute della propria anima: "Dispongo che il mio Corpo sia seppellito nella Comune di Cittiglio
accanto al Padre Camillo Luini mio Cugino... Oltre i funerali da farsi nella
Chiesa mia Parrocchiale di Milano, voglio che siano ugualmente fatti nelle
Parrocchiali di Cittiglio, e di Laveno, e nel giorno a ciò destinato... si
distribuisca ai poveri una larga elemosina... Dentro due anni si faranno
celebrare N. tremille Messe in suffragio dell’anima mia... prego il Reverendo
Padre Giovanni Pavolo Tinelli Barnabita mio amico a celebrare annualmente cento
Messe... prego altresì il Reverendo Federico Piantanida mio cugino a celebrare
altre cento ogni anno vita sua durante...".
Il testatore
prevede poi tutta una serie di legati tra i quali meritano di essere
evidenziati i vitalizi riservati alle sorelle, Vittoria e Giuseppina, sue
uniche eredi dirette, rispettivamente di lire settemila e seimila annue, oltre,
metà ciascuna, la casa di Laveno con i rispettivi mobili e, divisi ancora in
parti eque, argenti, biancheria e gioie conservati nelle case di Milano e
Cittiglio.
A questi si
aggiungono inoltre quelli "una tantum" destinati ai suoi parenti e
alle istituzioni, nonché a tutti coloro che l’hanno aiutato, assistito e
servito: i fratelli Perabò, i figli di Francesco Baldini, i fratelli Ignazio,
Pietro e Giacomo Piantanida, Cesare Rosnati, il Reverendo Zoppis, il fisico
Tommaso Monteggia, il chirurgo Durelli, i domestici, i coloni, il campanaro, il
fattore, il derelitto Battista Colombo e la Chiesa Parrocchiale di Laveno nel
"solo caso che sia rifabbricata ed ampliata".

L’ospedale negli anni
trenta
Resta la parte
sostanziale dell’eredità ed è su questa che intendiamo concentrare la nostra
riflessione. Don Carlo Luini dispone dunque che tutta la sua sostanza sia
impegnata "nell’Erezione e dotazione di uno Spedale d’Infermi da situarsi
nella casa di mia abitazione a Cittiglio dove siano Curati prelativamente i
Coloni de miei terreni che siano poveri, poi gli abitanti poveri delle Comuni
dove io possiedo, per ultimo tutti i poveri delle tre Pievi di Valcuvia,
Leggiuno e Brebbia, quale Spedale voglio che sia intitolato Causa Pia
Luini". Eredi fiduciari sono designati Antonio Tinelli de fu Carlo, il
notaio Carlo Perabò ed il Prevosto di Cuvio, Pianezza. Ad essi è affidato il
compito di adempiere a tutto quanto è disposto nel testamento e di avviare
senza indugi la nuova istituzione. E' tanta la preoccupazione che tutto proceda
nel migliore dei modi che il testatore si preoccupa di delinearla nei minimi
particolari e di prevederne i possibili ostacoli: il dottor Panighini fornirà i
suggerimenti medici e Rocco Cellina quelli economici.
Le disposizioni
dettate da Don Carlo Luini lo consegnano alla storia come il fondatore
dell’ospedale di Cittiglio e come tale è ancor oggi ricordato con gratitudine
nelle nostre valli.
Resta però da
stabilire in quali circostanze l’ultimo erede di Casa Luvini abbia steso il
proprio testamento e soprattutto le motivazioni che l’hanno spinto
all’elaborazione e al finanziamento di un così nobile progetto.
Un aiuto decisivo
nella soluzione del nostro quesito lo forniscono ora alcune carte ritrovate a
quasi duecento anni di distanza nel riordino dell’archivio della famiglia
Tinelli di Gorla. Si tratta di un fascicoletto composto da sei fogli, numerati
progressivamente, dalle dimensioni di mm 182 x 260 e tenuti insieme da una
cordicella colorata.
Il diario, come
espressamente chiamato dal suo estensore, non porta firma e scandisce i giorni
del mese senza però fare mai accenno l’anno. I due problemi sono però di facile
soluzione: la scrittura infatti è senza dubbio quella di Don Antonio Tinelli,
riscontrabile in tanti altri documenti conservati nel medesimo archivio e
l’anno della sua compilazione è sicuramente il 1804, nei giorni precedenti la
stesura del testamento da parte di Don Carlo Luini, ed il contesto lo rivela
con abbastanza sicurezza.
Il racconto di Don Antonio inizia dal giorno 22 ottobre
quando, venuto a conoscenza della malattia di Don Carlo, si reca a fargli
visita nella sua casa milanese, e termina il giorno ventinove dello stesso mese
quando il Tinelli ritorna a Laveno, dopo essersi assicurato di aver disposto
per il meglio gli affari e la persona di Don Carlo "tanto per l’anima
quanto per il corpo". I due sono parenti in virtù del matrimonio tra donna
Giulia Tinelli e Don Cesare Luini e tra loro intercorre un rapporto di grande
stima ed amicizia, tant'è che Don Carlo definisce nel testamento Antonio
Tinelli "amico e confidente".
Al di là delle
vicende legate alla nascita della Causa Pia Luini, le pagine del diario di Don
Antonio Tinelli tracciano uno straordinario affresco della vita quotidiana in
una "magione" nobiliare all’inizio del XIX secolo.
STORIA DI UNA DEMOLIZIONE
Il 26 maggio del
1822 Carlo Luvini moriva e la sua casa di abitazione, ovvero la villa
seicentesca di famiglia, si apprestava ad essere adibita ad uso Ospedale dove
curare gli ammalati poveri oltre che di Cittiglio, anche delle tre Pievi dove
il Luvini possedeva terre, ovvero in quelle di Cuvio, Besozzo e Leggiuno per un
totale di cinquantatre comuni, con preferenza per quelli delle famiglie
coloniche che godevano e lavoravano le terre del Luvini.
Il 19 maggio del
1825 il giudice Camillo Molinari promuove una causa come unico erede e discendente
del fu Don Carlo contro gli eredi fiduciari, asserendo la falsità del
testamento con prova calligrafica che sosteneva l’esistenza di ben quattordici
caratteri difformi dalla firma abituale di Carlo Luvini Testatore ed asserendo
ancora a delle difformità di sintassi nel brano di documento riguardante la
Causa Pia Luini; con queste prove il Molinari riesce a vincere una sentenza
dietro l’altra, e sembrerebbe che la sentenza del 2 dicembre 1828 gli assegni,
l’eredità, trovando falso il testamento. Il 2 luglio 1834 il Tribunale di
appello con Aulica Decisione di Sua
Maestà decide di attribuire l’eredità agli eredi fiduciari.
Dopo questa
vicenda, che ne ha ritardato l’apertura per tredici anni, nel 1835 finalmente
l’Ospedale inizia la sua attività; le stanze di degenza si trovano al primo
piano della villa, ed esso è in grado di ospitare 15-18 degenti, secondo una
lettera dell'amministratore della Causa Pia, Reverendo Pietro Valaperta, alla
delegazione provinciale di Como in cui illustra brevemente lo stato
patrimoniale dell’Ospedale.
La villa lasciata
dal Luvini nel suo testamento per essere destinata alla Causa Pia Luvini
sorgeva in Cittiglio sulla riva sinistra del Boesio, tortuoso torrente un tempo
assai più irruente di oggi. La villa di sicuro esisteva nel seicento; un
documento inerente ad una divisione tra i fratelli Cesare, Giovan Battista e
Fabrizio Luvini, redatto il 10 giugno 1597, sembrerebbe confermarne l’esistenza
già allora, in base a quanto si può dedurre dalla citazione "casa di Cittiglio
con il suo orto e Ciosetto appresso alla detta Casa con il suo Torchio",
che confinava con "la fiume della Boese" spettante a Cesare Luvini,
già abitante a Cittiglio. Forse la sua origine è ancora precedente, infatti, in
un altro documento, sempre inerente ad una divisione, del 1575, questa volta tra Giovanni Eleuterio,
Giovanni Franco e Camillo fratelli Luini
quondam magnifico Signor Bernardo, in cui è citata una "casa nobile
con giardini", non è chiaro però se si tratti della Villa Luvini di
Cittiglio in quanto il comune di ubicazione non è specificato.

Si può supporre
che negli anni la casa (villa) sia stata modificata o ingrandita, di sicuro
riparata, poiché fu vittima più volte delle alluvioni del Boesio, e molte volte
i danni furono ingenti. Sicuramente doveva essere di notevole importanza e
discrete dimensioni perché il ponte, che sorpassando il Boesio collega la villa
al paese, fu eretto a tale scopo; ponte che però non si rileva nelle mappe del
catasto teresiano.
Una prima
descrizione della villa, antecedente alla sua trasformazione in ospedale,
l’abbiamo ad opera dell’Ingegnere Giovanni Porta che, su commissione degli
eredi fiduciari di Don Carlo Luvini, stila, nel 1823, un elenco
particolareggiato dei beni lasciati in eredità. Da questo documento si apprende
che la fabbrica era composta essenzialmente da una corte chiusa, denominata
corte civile, ad ovest della quale si trovava una corte aperta (con fabbricati
a nord e a est) denominata corte rustica, e da una terza corte, definita altra
corte, posta a sud della civile e parzialmente aperta.
Nel 1835 la villa
lasciata dal munifico testatore doveva trovarsi in una configurazione non
troppo dissimile da quanto ci appare dal Catasto di Maria Teresa d’Austria del
1722, e dalla descrizione del Porta del 1823. Le camere di degenza erano sei,
due per gli uomini, due per le donne e due riservate per le malattie
contagiose, tutte erano collocate al primo piano della corte civile descritta
dal Porta. In seguito ad un lascito saranno tenuti successivamente altri
quattro letti ed allestito in più un altro locale per il ricovero degli
ammalati; esistevano inoltre altri locali per magazzino, guardaroba e cucina.
Il caseggiato veniva descritto ben ubicato, salubre ed abbastanza ventilato. Da
altre fonti pare che il numero dei degenti fosse di trenta, quindici uomini e
quindici donne nel 1876, cosa che fa pensare ad un rapido ingrandimento
dell’edificio, o all’occupazione di un’altra ala del fabbricato.
Il 17 maggio 1846
il delegato provinciale di Como, Don Giacomo Beretta, stende un atto di visita
all’Ospedale di Cittiglio in cui descrive in trentun punti, i locali facenti
parte di questo, ambienti tra i quali risultano un oratorio con sacrestia
annessa, una sala per l’accettazione dei malati, gli ambienti ad uso
amministrativo, una cucina, stanze per lavanderia e servizi, una sala
mortuaria, la stanza del portinaio e due locali per l’economo e il ragioniere,
questi al piano terreno. Al primo piano risultano due infermerie per gli uomini
ed altrettante per le donne, alcuni locali di servizio, la camera del chirurgo
e le camere da letto per l’economo e del ragioniere, quella del portinaio ed
una momentaneamente libera, oltre ad un locale per l'archivio vecchio e uno per
il granaio. In seguito a tale visita il Beretta segnalava alcuni inconvenienti
tra i quali sono da rilevare l’ubicazione dell’edificio che lo rendeva
vulnerabile alle inondazioni del Boesio, e che la sala di accettazuione dei
malati aveva la volta rovinata e se ne consigliava la riparazione. Tutti gli
altri locali vengono definiti in buono stato, e si sottolinea che le infermiere
sono ben ventilate, trovandosi a nord; doveva essere aggiunto invece il canale
di gronda a nord perché mancante. Da un documento redatto dall’amministratore
Valaperta si viene a conoscenza della presenza di una farmacia in frazione
Fracce per il comodo e pronto servizio del pubblico e dell’ospedale.
Esaminando le
mappe catastali troviamo una certa differenza tra i fabbricati presenti per il
Catasto Teresiano e quelli del Cessato Catasto del 1873, nonostante che i primi
lavori documentati di ampliamento siano datati 1886. Sempre dall’analisi dei
catasti si apprende dal Cessato Catasto Lombardo che solo una parte
dell’edificio, cioè quella inerente alla corte civile, era destinata ad
Ospedale, mentre la rimanente era destinata a fabbricati rurali; l’ala
destinata ad Ospedale non sembrerebbe presentare, dal confronto dei due
catasti, ampie differenze, mentre si riscontra una sostanziale differenza nella
forma dei fabbricati rurali, forse dovuta all’accuratezza del rilievo. Manca
invece completamente, nel Cessato Catasto, il portico a tre campate che
divideva la corte civile dall’altra corte a sud, ma di tale demolizione non si
hanno documentazioni.
Il ponte in muratura,
che permette il facile attraversamento del fiume Boesio, è datato 1700 ma sulle
carte del Catasto Teresiano non è riportato, nonostante il Lajoli lo faccia
risalire addirittura al Seicento.
Nel 1886 viene
indetto un bando di concorso per l’ampliamento dell’Ospedale, onde istituirvi
una sezione chirurgica su progetto dell’Ingegner Alessandro Besozzi, datato 8
settembre 1886; i lavori saranno affidati all’impresa Zuretti Antonio,
appaltatore locale che entra subito in conflitto con l’Ingegner Besozzi,
manifestando i suoi dubbi sul mantenimento di alcuni muri su cui appoggiare il
nuovo fabbricato. Tra le varie diatribe riguardanti i muri da abbattere o
mantenere sorte tra il Zuretti e l’Ingegnere, il progetto viene portato avanti
con numerose varianti e demolizioni, principalmente sono coinvolti il lato sud
e parte di quello est, con la demolizione e la ricostruzione di alcune parti di
fabbrica.

Il ponte costruito
dai Luini
Piuttosto
svincolato da qualsiasi rispetto per l’esistente sembra che lo sviluppo di un
nuovo fabbricato, probabilmente destinato a contenere la nuova sala chirurgica
si notano nuove aperture e altre demolizioni arbitrarie a scapito del
fabbricato esistente. Grazie al libro delle misure di cantiere
dell’imprenditore Zuretti si apprende di demolizioni di soffitti e muri di
quello che probabilmente era il fabbricato rurale, e interventi di demolizione
e rifacimento di un atrio d’ingresso alla corte sud. Furono anche eseguiti
altri lavori consistenti nell’abbattimento di muri vecchi, e nella
ricostruzione, sullo stesso sedime, di muri nuovi; molte di queste demolizioni
furono decise in corso d’opera e non in fase di progetto. Sempre a seguito di
questi lavori fu modificata, e in parte rifatta, la strada che fiancheggia
l’Ospedale sui lati ad est ed a meridione. La strada fu inghiaiata e modificata
nel suo percorso a sud, a causa della costruzione del nuovo fabbricato. Si
provvede a tombinare la corte interna onde smaltire l’acqua piovana e a dotare
l’Ospedale di caloriferi e serramenti in ferro.
L’intervento
dell’Ingegner Besozzi, e dove non arriva lui dello Zuretti, sembra radicale,
tutto ciò che è vecchio e presenta dei dissesti va eliminato.

Nel 1893 nasce la
necessità di costruire una nuova camera mortuaria, in sostituzione
dell’esistente, e questa volta l’incarico viene affidato all’Ingegnere Marco
Porta che redige un progetto in data 28 febbraio 1893. Il progetto prevede la
demolizione della precedente camera mortuaria, situata a nord oltre la corte
rustica, e la costruzione della nuova sullo stesso luogo, con accesso da un
viale esterno parallelo all’ala a settentrione dell’Ospedale. Il nuovo edificio
veniva diviso in due parti, una con la sala mortuaria propriamente detta che
veniva pensata pure per tenervi lezioni di anatomia, di forma ottagonale,
l’altra consistente in un pronao antistante e due piccoli locali ai lati. La
struttura sarà costruita in mattoni e pietra ed avrà una copertura lignea. E'
da notare come si proceda alla demolizione di un fabbricato esistente, di cui
viene fatto un preciso elenco dei materiali recuperabili, e rivendibili, per
sostituirlo con un edificio avente la stessa funzione e solo di poco più grande
(meno di sei metri quadrati in più). Il progetto sarà poi realizzato l’anno
successivo ed affidato all’imprenditore Maffeo Binda, padre di Alfredo.
Il 23 agosto 1900
il Boesio straripa inondando con le sue acque l’Ospedale di Cittiglio,
l’inondazione si ripete il ventisette, quattro giorni dopo, con quasi un metro
d’acqua. A seguito dello straripamento fu affidata dall’amministrazione della
Causa Pia Luvini all’Ingegnere Marco Porta di Laveno la stesura della stima dei
danni. Il tecnico incaricato rilevò il danneggiamento in più punti del muro di
recinzione, in parte anche abbattuto dalla furia dell’acqua, e il
danneggiamento dei locali al piano terreno che erano stati invasi dall’acqua
melmosa. Si provvide subito alla riparazione del muro di recinzione ed alla
pulitura dei cortili e dei locali interni dalla melma portata dal fiume. Anche
i locali adibiti ad abitazione del segretario dell’Ospedale erano diventati
inutilizzabili trovandosi al piano terreno, percui si provvide prontamente ad
adibire un’altra ala dell’edificio per abitazione del segretario e della sua
famiglia. Già il giorno 31 agosto l’ingegnere era in grado di fornire un
capitolato dove elencava le nuove opere da farsi per adattare allo scopo due
locali, già utilizzati uno per granaio e l’altro destinato all’allevamento dei
bachi da seta; i due locali, di ampie dimensioni, saranno trasformati in una
cucina, una sala ed una stanza. Nel frattempo si approfitta dei lavori
dell’inondazione per aggiungervi una demolizione al piano superiore, dove viene
creata un’apertura di comunicazione tra l’abitazione del medico primario e la
crociera degli uomini, con la formazione di tre nuovi gradini in beola, il
tutto chiuso da una porta.

Nel 1902 si
riscontrerà la necessità di ampliare nuovamente l’Ospedale; la progettazione
sarà affidata all’Ingegnere Paolo Mezzanotte di Milano, che due anni dopo
progetterà l’Ospedale di Luino, presentando forti analogie con il progetto
presentato a Cittiglio; l’esecuzione dei lavori viene affidata, con l’asta
pubblica del 17 febbraio 1903, all’imprenditore Giovanni Lucchini di Cittiglio.
A tale ampliamento di notevole entità concorse pure la Cassa di Risparmio di
Milano con un finanziamento, tanto che l’Ospedale fu dotato di sala operatoria,
camere per isolamento, camere private oltre ad un’apparecchiatura per la
radioscopia e la radiografia.
Il progetto teso a
trasformare l'ospedale in un istituto moderno prevede la formazione di corpi di
fabbrica ex-novo, ed è intenzione stessa del progettista intervenire il meno
possibile sul costruito, non per considerazioni inerenti a questioni di
restauro ma solo per ragioni meramente economiche. Il progetto, approvato
integralmente dal consiglio di amministrazione, in data 25 settembre 1902, sarà
portato a termine ai primi di luglio del 1904 e tende a conferire i caratteri
di igiene e salubrità mancanti all’istituto; l’intervento sull’esistente
consiste solo nella creazione di collegamenti tra questo e le nuove
costruzioni.
Il compito
affidato al Mezzanotte era il riordino dell’ospedale stesso e la creazione di
una nuova sezione chirurgica, poiché quella realizzata dal Besozzi era
insufficiente e con una disposizione inopportuna. Anche le corsie degli uomini
e delle donne portavano complicazioni ai servizi essendo troppo distanti tra
loro e mancavano inoltre servizi ausiliari per la disinfezione ed i laboratori
di analisi. Il progetto prevede la creazione di una nuova sala chirurgica che
andrà ad aggiungersi all’interno dell'ex- altra corte, sul lato sud. La nuova
sala chirurgica, illuminata da una finestra a tutta parete e contornata dai
locali per la disinfezione e la sterilizzazione, dava su un ampio corridoio che
divideva la chirurgia uomini dalla chirurgia donne, dotate di undici letti
ciascuna. Il riordino dell’ospedale prevedeva lo spostamento dei servizi a sud,
mentre nella corte civile venivano ospitati: l’appartamento del direttore,
quello del chirurgo, del medico assistente e del segretario, la sala del
consiglio, i locali di amministrazione e un oratorio, già esistente, conferendo
a questa una funzione più simile a quella nativa. La corte civile veniva divisa
da quella meridionale con un muro di cortina dotato di un'apertura.
La corte rustica
veniva invece adibita ai bagni dei pellagrosi verso settentrione e a ponente
dai locali della lavanderia e sterilizzazione e da uno per la caldaia. Nell’ala
ad est della corte a meridione venivano collocate, sempre al primo piano, le
corsie di medicina per le donne e per gli uomini, analoghe a quelle della
chirurgia, e gli appartamenti riservati alle suore; l’ingresso avveniva dal
portale verso est, a destra del quale era ubicato il locale del portiere col
soprastante appartamento, ed a sinistra i locali di ambulatorio.
L’intervento del
Mezzanotte aveva spostato da nord a sud le stanze di degenza e la parte della
vecchia infermeria uomini restava inutilizzata (si tratta del corpo di fabbrica
che delimita verso nord la corte civile del 1823), così il primo agosto del
1908 il presidente della Causa Pia Luvini incarica l’ingegner Riccardo Bozzoli
di Varese di riadattare questi locali annessi all’ospedale per uso abitativo.
Progetto e relazione del Bozzoli saranno presentati il 2 settembre 1908; il
lavoro verrà appaltato ancora all’impresa di Maffeo Binda, in data 29 ottobre
1908 e termineranno l’11 luglio del 1909. Saranno demoliti alcuni soffitti e
costruiti muri extra preventivo dei lavori, il che rileva ancora leggerezza del
progettista in fase di rilievo. Infatti, com’era accaduto nell’intervento del
Besozzi, si opera ancora in un’indecorosa e completa indifferenza per quello
che riguarda l’ormai trasformata Villa Luvina, della quale si conserva molto
poco.
Il complesso di
queste modifiche, principalmente quelle del Mezzanotte, permise di portare
l’Ospedale di Cittiglio ad avere cinquanta posti letto e di essere dotato delle
migliori apparecchiature dell’epoca; nel 1926 si raggiungono gli ottanta posti,
ed ancora una volta sono necessari lavori di sistemazione. Il problema
principale questa volta è l’umidità che viene affrontato finalmente in modo
serio, visto che da sempre il Boesio è il temuto "avversario" della
Villa, oltre a qualche progettista che talvolta per obblighi, altre per
mancanza di criterio e rispetto, ci mettono mano. Uno di questi è l’ingegner
Chiappa che il 6 febbraio del 1926 firma un progetto per lo smaltimento delle
acque intorno all’ospedale.
Il progetto
consiste in un anello drenante intorno al fabbricato ed ai terreni attigui che
scarica nel Boesio da un primo scarico chiudibile con paratie, mentre nel caso
di piene del fiume dovrebbe entrare in funzione un ulteriore scarico a quota
più elevata, dotato di una pompa elettrica. Un’eventuale pompa a benzina era
prevista nel caso mancasse l’energia elettrica; il progetto prevedeva inoltre
riparazioni ai locali danneggiati e la chiusura di due portici per motivi di
riscaldamento. Queste modifiche vengono approvate il 22 luglio dello stesso
anno.

Il cortile interno e
la statua a Carlo Luini
Sebbene qualunque considerazione circa il restauro e la
conservazione della Villa Luini non sia mai stata fatta, l’opera di drenaggio
può considerarsi utile sotto il punto di vista conservativo, così che per
smentire questo fatto già nel 1927 l’amministrazione e l’ingegner Chiappa si
rivelano completamente insensibili di fronte alla costruzione seicentesca,
decretandone l’abbattimento del corpo centrale, smantellando così
definitivamente il carattere delle tre corti primitive dell’edificato per
unirle in una sola. Le motivazioni che portano all’eliminazione del corpo
centrale hanno un pretesto igienico di una corte angusta, e la ricerca di
ordine e simmetria di carattere prettamente estetico. I locali del direttore
saranno trasferiti sul lato nord della villa al primo piano, mentre il corpo di
fabbrica a sud sarà ampliato per renderlo simmetrico alla sala chirurgica del
Mezzanotte. Si provvederà a creare nuovamente appartamenti per le suore e per i
medici, ancora senza un minimo riguardo per l’esistente.
L’idea di operare
su strutture storiche non sembra sfiorare minimamente l’ingegner Chiappa e
nemmeno il consiglio amministrativo della Causa Pia Luvini, che accetta il
progetto in ogni sua parte. Così nel mese di giugno del 1928 i lavori possono
dirsi terminati, non senza sorprese e fuori programma, come il rifacimento
della facciata interna del corpo nord in prossimità del suo collegamento col
corpo demolito.
Da notare è la
presenza, nel rilievo del Chiappa, di un fabbricato a sud-ovest, in prossimità
della medicina donne del Mezzanotte, che non risulta essere opera né del
Mezzanotte né del Chiappa, o per lo meno non esiste documentazione in merito.
Si tratta del padiglione destinato alla maternità, fatto erigere per opera
generosa di uno degli allora amministratori, il Commendator Bernardoni di
Leggiuno.

Con il progetto
dell’ingegner Chiappa si può dire concluso il programma di demolizione della
seicentesca Villa Luvini. Dove non arrivano gli uomini a far danni ci pensa la
natura, infatti, sistemati gli argini del Boesio fu la volta del Torrente Boito
straripato nell’agosto del 1928, nel settembre del 1932 e ancora nella notte
del 1 e 2 giugno 1938, quando il piano terra dell’ospedale sarà invaso da
cinquanta centimetri d’acqua. Nel 1935 verrà costruito un nuovo laboratorio,
non specificato né per uso né per collocazione. Nel 1943 l’ingegner Domenico
Clivio di Gavirate, consultato a proposito di un’infiltrazione sopra le camere
dei malati consiglia di porre un tetto a falde sopra l’esistente copertura
piana; nel 1944 un disegno rivela l’ennesima chiusura di un portico, questa
volta da parte di Giosuè Besozzi.

Il padiglione donato
dal Bernardoni
Si può affermare
quindi che a poco più di cento anni dalla morte di Carlo Luini muore anche la
sua villa. La distruzione del fabbricato seicentesco è compiuta, tutti i
progettisti, fatta eccezione del Mezzanotte, non dimostrano il benché minimo
rispetto del valore artistico e storico della villa, consegnandola a noi
completamente priva delle intenzioni che l’hanno generata.
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/span>Sopra il portale è
visibile un affresco raffigurante San Bernardo, risalente al 1870 circa, di
buona fattura.
Recentemente, sul
lato a sud all’esterno, è stato eseguito un affresco ad opera del pittore
cittigliese Renato Giorgini. Il sagrato e il lato sud sono delimitati da un
basso muro dal quale si intravedono la valle sottostante, formata dal torrente
San Giulio e dai suoi affluenti, e il monte Sasso del Ferro.
La chiesa,
ultimamente restaurata, anche alle pareti affrescate, si presenta attualmente
abbastanza fedele alla veste originaria.
L’interno riflette
l’impostazione della sua origine settecentesca, presentando una decorazione
sobria che tende a mettere in evidenza le modanature delle strutture
architettoniche portanti. Tale decorazione è stata rinnovata nel 1986 dal già
citato Giorgini.
In due lunette,
poste ai lati dell’altare su cui capeggia la statua di Maria Ausiliatrice, sono
collocate le statue di San Bernardo e San Giuseppe col Bambino.
Sul lato destro
della navata si aprono una piccola cappella, la sagrestia e i locali ora
utilizzati, in occasione della festa di San Bernardo, per le offerte al Santo e
che una volta era la casa del Reverendo.
La chiesa è stata
utilizzata nel 1978 come ambientazione del film "Tigre contro tigre",
una commedia ad episodi in cui Renato Pozzetto, interpreta il prete di un
paesino di montagna.
LA CAPPELLA DI SAN ROCCO
E' una cappella
campestre alle Fracce, che probabilmente fu costruita in occasione della peste
che nel 1630 desolò il paese. Ora è stata mutata in elegante cappellina
funeraria della famiglia dei Luvini, ma la località conserva ancora la denominazione
di S. Rocco, e per questo titolo è tuttora stazione delle Rogazioni.

La Cappelletta di San
Rocco
L’ORATORIO DI SAN CARLO
Questo era la
cappella privata della casa signorile dei Luini, non si sa quando costruita. Si
sa soltanto che in data 13 maggio 1774 il dott. Ercole Camillo Luvini ottiene
da Papa Clemente XIV un Breve per la celebrazione di due Messe settimanali in
quest’oratorio di famiglia.
In una nota del
1894 alla visita del Vescovo Niguarda si legge che era in sfacelo. Poi fu usato
da ripostiglio.
Nel 1904,
nell’occasione della venuta delle Suore di Brescia, Ancelle della Carità,
chiamate per l'assistenza dell’ospedale, per cura del Parroco Vanini, veniva
ritornato al culto e restaurato.
I restauri furono
continuati specialmente tra il 1910 e 1920 per opera di quell’anima generosa
che fu Madre Costanza Fogagnolo, ed ora si presenta ben decorato e tenuto, con
un bell’altare in cui si conserva il SS. Sacramento.
All’iniziativa del
Parroco Ferdinando Vanini si deve, nel 1884, l’Asilo Infantile, uno dei primi
della valle, che nel 1904 fu affidato alle amorose cure delle Rev.de Ancelle
della Carità.
LA CAPPELLA DI SAN ANTONIO
Si tratta della
cappella posta a Cittiglio alto, in quella che è nota oggi come Villa
Ripamonti. Questa cappella che è ancora in buono stato di manutenzione fu
eretta dal sig. Desiderio Perabò, marito di Cecilia Luvini fu Galeazzo, che la
dotò con un legato di due Messe.
Più tardi per le
leggi di soppressione i beni e gli oneri passarono alla Deputazione Provinciale
di Como. Da parecchi anni non è più adibita al culto.